Le donne del 13 febbraio Siena
Comitato SeNonOraQuando? laboratorio politico
Sabato 19 novembre 2011
Santa Maria della Scala - Piazza Duomo Siena
Sala Italo Calvino 9:30-18:30
workshop su:
il lavoro delle donne
una giornata insieme per
condividere, riflettere, proporre
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Con il patrocinio del Comune di Siena
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Luogo dell'incontro: Santa Maria della Scala
Le relazioni introduttive dei tre gruppi di lavoro:
Gruppo di lavoro su maternità/lavoro di cura, lavoro e stato sociale.
Percorsi delle donne tra lavoro, maternità, cura. E lo Stato Sociale?
Possiamo immaginare le tre parole chiave Lavoro, Lavoro di cura/Maternità e Stato socialecome i vertici di un triangolo, lungo i lati del quale si muovono esperienze e desideri che danno vita ad un campo di interdipendenze complesso e denso. Ognuna di noi, per il semplice fatto di essere donna, deve muoversi all'interno di questo campo di tensioni, e i percorsi che disegnerà al suo interno sono fondamentali per la costruzione e lo sviluppo della sua soggettività di genere. In particolare, la possibilità di costruire un equilibrio armonioso tra i tre poli determina la qualità della vita di ogni donna dal punto di vista individuale, relazionale, familiare. Anche sul piano sociale la gestione dei tempi di vita assume un ruolo decisivo; rappresenta, infatti, una variabile imprescindibile perché sia realmente pensabile la partecipazione delle donne alla vita politica e sociale a qualsiasi livello.Quella che desideriamo qui proporre è una riflessione sulle nostre parole chiave e sui percorsi che si muovono dall'una all'altra: cosa spinge dalla maternità al lavoro fuori casa e viceversa, come si costruiscono equilibri e cambiamenti, cosa sperimentiamo e perché, come ci aiuta o ci intralcia la declinazione italiana dello stato sociale? Vorremmo disegnare, insomma, una cornice all'interno della quale le esperienze di ognuna di noi possano, nel lavoro collettivo di questa giornata, trovare espressione e affermare il proprio senso politico. Dal racconto e dalla condivisione dei nostri percorsi ci interessa che emergano i bisogni, le aspettative e la formulazione di azioni politiche di cui si facciano carico la collettività e il governo.La prospettiva da cui vi proponiamo di guardare a questo denso campo di interdipendenze è, naturalmente, quello della specificità di genere.La maternità e il lavoro di cura sono esperienze con le quali una donna, per il solo fatto di essere donna, deve necessariamente confrontarsi. Essere nate in un corpo sessuato femminile significa imparare a relazionarsi con la nostra capacità riproduttiva che si impossessa, in modo pregnante durante tutto l’arco della vita, sia della nostra dimensione corporea che di quella psicologica, a differenza di quella maschile. Indipendentemente dal desiderio di rimanere incinta ognuna di noi, a partire dallo sviluppo, è richiamata una volta al mese a sentire e pensare la propria maternità potenziale e per tutta la vita dovrà continuamente riposizionarsi rispetto a questa sua condizione di corpo femminile. L'archetipo della maternità permea l'identità di genere, disegnando le donne come soggetti naturali di cura, indipendentemente dal fatto di essere effettivamente madri. Il lavoro di cura si configura come una moltitudine di azioni e pensieri anche piccoli, che spesso ci appaiono di poco valore, ma che invece costituiscono la struttura ossea del quotidiano, ciò che garantisce il procedere della vita di tutti e della società. Questo bagaglio di azione e pensiero, questa responsabilità rispetto agli altri e alla collettività, è stata storicamente ritenuta “cosa da donne”, e, nonostante le battaglie e le conquiste femministe, in Italia tale convinzione persiste oggi più forte e tenace che altrove. Si tratta di lavoro, un lavoro invisibile e non riconosciuto che marca la nostra condizione di disparità rispetto agli uomini. Diversamente da ogni altra forma di lavoro, anche quelle più precarie, non ha un riconoscimento politico e quindi la contrattazione avviene esclusivamente nella sfera privata.Il lavoro di cura, inoltre, richiede una disponibilità costante, non ha tempi, è potenzialmente continuo, entra negli spazi della vita privata e lavorativa, e la gratificazione in questa sfera sfugge alla presa, non può essere legata alla singola azione e allo stesso tempo, non esiste un confine preciso del suo compimento. Indipendentemente dal percorso di vita che cerca di costruire, con o senza il progetto di una famiglia, ognuna di noi farà i conti con il ruolo di genere dominante nella nostra società, quello di soggetto di cura e/o madre. Rifiutare l'opzione della genitorialità per una donna ha un costo emotivo ed espone ad una richiesta di giustificazione che non si danno nel caso maschile. Il ruolo di madre e di soggetto di cura ha uno spazio di interpretazione claustrofobico ed è esposto ad un controllo e giudizio sociale feroce; diversamente, l'interpretazione del ruolo maschile nella sfera della cura è accettata in qualsiasi sua declinazione, anche la più assenteista, sempre giustificata dal primato dell'impegno professionale. Se dunque, ancora oggi, è senza dubbio forte la proposta, continuamente aggiornata, di un modello normativo di femminilità legato al ruolo di cura, è tuttavia importante dirci in che misura abbiamo interiorizzato questo ruolo, in che misura lo abbiamo eletto a sfera della nostra realizzazione, talvolta di esercizio di potere, e in che misura, al contrario, riusciamo a porci criticamente nei suoi confronti. Il peso del lavoro di cura, proprio perché richiede un forte investimento in termini di tempo, energia, pensiero, si pone inevitabilmente in competizione con la possibilità di agire nello spazio pubblico, sia in termini di partecipazione politica e civile, che in termini di scelta e perseguimento di un percorso professionale. Il lavoro di cura e il lavoro retribuito si sottraggono tempo a vicenda. In questo senso le donne sono costrette a vivere come funambole, rischiando un senso di incompiutezza ed inadeguatezza su entrambi i piani. Inoltre, il doppio carico sulle spalle delle donne è qualche cosa che agli occhi del datore di lavoro e dei colleghi rende quest'ultime lavoratrici potenzialmente meno affidabili degli uomini. È all'interno di questa visione dell'imprescindibilità del ruolo di cura delle donne, che trovano spazio e legittimazione iniziative come la lettera di dimissioni in bianco, l'assegnazione di part-time involontari, la collocazione in posizioni sotto-qualificate rispetto al titolo di studio o, più in generale, la precarietà e la difficoltà di accesso al mercato del lavoro. Lo Stato sociale, che nasce a partire dal riconoscimento che determinati diritti debbano essere tutelati e presi in carico dallo Stato come garante di tutti i cittadini e le cittadine, nell'ambito di cui ci stiamo occupando dovrebbe funzionare da correttivo per una gestione dei tempi di vita che rispetti la totalità e la differenza del soggetto femminile. In Italia, tuttavia, lo stato sociale, piuttosto che sostenere la famiglia e i tempi di vita dei genitori, è sostenuto esso stesso dal lavoro di cura delle donne. I servizi all'infanzia nei primi tre anni di vita, ad esempio, sono disegnati e pensati in riferimento ad un contesto familiare in cui si dà per scontata la presenza, a casa, di un soggetto disponibile a farsi carico del lavoro di cura, e noi sappiamo chi è questo soggetto. Semplificando la complessità dell'argomento, si può dire che la prima strategia presa in considerazione, per rispondere a questa esigenza, è stata quella cosiddetta della “conciliazione”: in quest'ottica l'obiettivo è quello di aiutare le donne appunto a conciliare il lavoro retribuito con quello di cura attraverso alcuni servizi come gli asili nido, l'accesso ai quali è tutt'altro che scontato; i dopo-scuola, che stanno sparendo; e il part-time, spesso rifiutato quando muove dalle esigenze della donna. È evidente che un importante limite di questa strategia è quello di rimanere all'interno di una visione acritica della cura come destino esclusivamente e naturalmente femminile. Proprio in reazione a questo limite si è cominciato a discutere di “condivisione”: a partire dall'assunto che la cura non sia un lavoro per natura femminile, ma che tutti nella società possano e debbano farsene carico, si sostiene che lo Stato sociale debba elaborare azioni in grado di promuovere la condivisione di questa responsabilità tra uomini e donne, in una prospettiva di welfare che tuteli e sostenga le cittadine e i cittadini a prescindere dalla loro condizione lavorativa, come invece succede nell’attuale sistema. Le proposte in questa direzione includono il congedo obbligatorio di paternità a carico dello Stato, un più equo accesso ai congedi parentali, il riconoscimento dell’indennità di maternità a tutte le lavoratrici a prescindere dal rapporto di lavoro, l'ideazione di part-time a ¾ per entrambi i genitori, il riscatto pensionistico della maternità -solo per citare alcune iniziative. La prospettiva della condivisione richiede d’altra parte anche un lungo e capillare lavoro di cambiamento culturale, senza il quale regole nuove come quelle sopra citate non sarebbero sufficienti per infrangere ruoli così efficacemente proposti e incorporati. A noi sembra che la nostra sfida, oggi, sia proprio quella di mettere a fuoco proposte concrete nell'ottica di una “condivisione” capace di promuovere nuovi modelli nelle relazioni di genere, di scompaginare i ruoli tradizionali e di restituire alla cura valore e riconoscimento sociale.
Giulia, Carla F., Lucia B., Simonetta, Lucia C., Sonia, Mariassunta
Gruppo di lavoro sulla decrescita.
“Le opportunità della decrescita: immaginario, bisogni, pratiche buone per una nuova economia delle donne”
Qualche spunto di riflessione per il gruppo di lavoro
Sono la crescita e lo sviluppo gli unici strumenti per far fronte alla crisi che da anni attanaglia ormai il nostro paese e non solo? Forse no. O meglio, noi pensiamo di no.
Crediamo che sia arrivato il momento di provare a cambiare lo sguardo, elaborare nuovi paradigmi, nuove modalità di vivere e di costruire le nostre vite. Di pensare fuori dagli schemi economici classici, individuando un percorso alternativo non più vincolato ad uno sviluppo economico tradizionale, in perenne rincorsa di una crescita infinita incompatibile con le risorse finite del nostro pianeta.
E' questo il tema della decrescita: non un modello economico in senso classico, quanto piuttosto un tentativo creativo di rompere la retorica della crescita economica senza limiti per “offrire degli strumenti e […] trasmettere stili di vita che non sono omologati ma creati dai territori e dalle comunità. Propone un punto di vista che ritiene fondamentale riappropriarsi dello spazio e del tempo di ciascuna e ciascuno che viene valorizzato e qualificato.”
La decrescita, per chi la sceglie, è un percorso impegnativo ma necessario per ripensare le proprie vite, per porre un argine alle gravi crisi ambientali, sociali ed economiche che stiamo attraversando, per uscire dalla logica del mercato che promette libertà ma veicola dipendenza.
E' una grande risorsa soprattutto perché rappresenta un’azione di destrutturazione dell’immaginario per reinventare desideri, valori, immagini, modelli, obiettivi che portano alla costruzione di un mondo nuovo, una società più umana, felice e serena di quella attuale.
La decrescita ci permette di sperimentare e testimoniare nuove forme di relazione tra i generi orientate al riconoscimento della differenza e al rispetto delle diverse soggettività per costruire, donne e uomini insieme, un pensiero e una società post-patriarcale.
Rispetto al tema del lavoro al centro della giornata di oggi, la decrescita offre una chiave di lettura originale. Siamo partite da alcune domande:
è pensabile un paese dove tutti iniziano a lavorare meno, guadagnare meno, ma in cambio hanno più tempo per la vita, per le proprie passioni, per i propri affetti? Questo libererebbe nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani e le donne che al momento sono, specialmente in Italia, i più penalizzati da un mercato del lavoro ingessato e solo nominalmente flessibile?
è possibile mettere a sistema le risorse volontarie, altruistiche, dell’aiuto reciproco, del dono, sperimentali e alternative?
esistono esperienze concrete di forme di organizzazione del lavoro diverse da quelle dominate dalle ragioni della produttività, della competizione e del profitto?
è possibile immaginare una tutela del lavoro come bene comune “non fine a se stesso, ma […] funzionale alla qualità dell’esistere in un determinato contesto (ecosistema), da tutelarsi sia nei confronti del capitale privato (proprietà), sia del sistema politico (governo), che del capitale privato è sempre più frequentemente succube”? Quindi una rivalutazione del lavoro, non più inteso come una merce con un costo, ma come un bene comune dignitoso, tutelato e garantito a tutti.
Per costruire tutto questo è necessario rimettere al centro la relazione, la comunità, la responsabilità. Risorse che ci sono, ma sono ancora troppo spesso marginalizzate da un sistema che propone come vincenti modelli basati sull'individualismo, sul consumismo e sulla mercificazione.
I cambiamenti culturali richiedono tempo, energie, strategia e pianificazione. Serve confrontarsi, fare rete e scambiare le buone pratiche e le esperienze, anche quelle di minor successo, consapevoli che, come scrive Paolo Cacciari, “in attesa e in preparazione di questo grande processo di trasformazione, dobbiamo [...] essere non solo indulgenti ma capaci di capire che quella cultura consumistica - che giustamente critichiamo - in realtà copre bisogni profondi. E’ ad essi che noi dovremmo riuscire ad offrire una alternativa, se non vogliamo che la decrescita sia un modo di vita valido solo per esseri umani perfetti”.
Novembre 2011
Ilaria, Barbara, Elena, Samantha, Antonella, Daniela, Patrizia, Silva
Bibliografia essenziale:
Il tempo della decrescita, S. Latouche e D. Hapagès (Eleuthera, 2011)
La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, M. Pallante (Edizioni per la decrescita felice, 2011)
Breve trattato sulla decrescita serena, S. Latouche (Bollati Boringhieri, 2008)
La scommessa della decrescita, S. Latouche (Feltrinelli, 2007)
Decrescita o barbarie, P. Cacciari (Carta, 2008 disponibile in pdf sul sito www.decrescita.it).