giovedì 4 agosto 2011

Lavoro sul linguaggio - Mercoledì 25 maggio 2011



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RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: CHI HA PAURA DELLA CULTURA FEMMINISTA?
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo originariamente pubblicato nel quotidiano "Gli altri" del 13 maggio 2011.




In un articolo comparso il 20 aprile 2011 sul blog 27esimaora del corriere.it, dal titolo "Se non ora quando? (Ma il movimento e' vivo o morto?)", Luisa Pronzato scriveva: "Grande movimento di pensiero e discussione avevano, in quei giorni, riaperto l'attenzione sia sulle idee sia sulle questioni concrete: identita' femminile e maschile, tempo di vita, disoccupazione, carriere. Dopo la manifestazione e la mobilitazione che ha innescato, sara' impossibile rimettere sotto silenzio la questione uomo-donna".

A distanza di alcuni mesi dal 13 febbraio, dobbiamo purtroppo smentire una speranza che ogni volta si rinnova: che in questo paese qualcosa possa cambiare.
Se una ripresa di indignazione e di parola pubblica c'e' stata, non e' dai giornali e dalla televisione che ne abbiamo notizia ma dall'intensificarsi degli incontri, dall'aumento sorprendente delle candidature femminili nelle elezioni amministrative, dalle assemblee che si stanno tenendo in quasi tutte le citta', dal moltiplicarsi dei messaggi e contatti via internet.

Nel momento in cui scompaiono dalle piazze, e' come se le donne tornassero ad occupare il posto che e' stato assegnato loro per destino "naturale": fuori dalla polis, dai commerci sociali, culturali, politici, o presenti solo quando il privato degli uomini che la abitano da protagonisti fuoriesce inaspettatamente dal recinto domestico.

Perche', mi chiedeva giorni fa Rossana Rossanda in uno dei suoi rari ritorni in Italia, le donne oggi presenti in gran numero nella vita pubblica non riescono a cambiarla, perche' il femminismo non e' riuscito a generalizzare la sua cultura? E' la stessa domanda che ci fece alla fine degli anni '70 e che torna ancora oggi di sconfortante attualita'.

Sono tentata di elencare, come faccio ormai da tempo, le difficolta' e gli ostacoli, esterni ed interni, che ha incontrato il movimento delle donne:  la resistenza degli uomini ad abbandonare poteri e ruoli che considerano "connaturati" al loro sesso, e a cui fa da copertura piu' o meno consapevole la "neutralita'"; l'intuizione, sia pure oscura e tenuta timorosamente a bada dalla sinistra, che mettere a tema la questione uomo-donna, come ricordava Pietro Ingrao gia' trent'anni fa, "comporta affrontare punti di fondo dell'origine della societa' in generale, investire caratteri e dimensioni dello sviluppo, occupazione, qualita' e organizzazione del lavoro, fino allo stesso senso del lavoro; incidere sulle forme di riproduzione della societa', sul modo di concepire la sessualita', i rapporti di coppia, forme e natura dell'assistenza" (Rossana Rossanda, Le altre, Feltrinelli 1989).

E' questa "rivoluzione" dell'ordine esistente - e quindi non solo la lotta contro governi conservatori, politici corrotti e antidemocratici - che spaventa? Sono le angosce profonde, le insicurezze insopportabili di chi vede comparire nell'autonomia di pensiero delle donne lo spettro di una rimossa inermita' e dipendenza infantile dal corpo che l'ha generato? Qualunque siano le ragioni e le forme che ha preso nel tempo la misoginia maschile, diffusa a destra come a sinistra, tra politici e intellettuali, capitalisti e lavoratori, nativi e migranti, l'interrogativo che piu' inquieta resta quello che riguarda le donne stesse, la loro rabbiosa acquiescenza, l'adattamento a ruoli tradizionali di ancelle o cortigiane, il profluvio di discorsi lamentosi sui famigliari da accudire, sulle carriere interrotte, sui meriti calpestati, sul doppio e triplo fardello di chi si trova oggi a far da ponte tra privato e pubblico. Se la bonta' come virtu' ha perso smalto, non si puo' dire lo stesso per l'imperativo che vuole le donne "brave e belle".

Non e' forse questa l'immagine femminile che ci viene offerta indistintamente dagli schermi televisivi e dalla scena politica? Se non sono corpi-sfondo-cornice,  esposti come specchi per le allodole anche in trasmissioni di carattere culturale, sono le diligenti segretarie che filtrano le mail e a cui il conduttore rivolge di tanto in tanto paterni sguardi, chiamandole confidenzialmente per nome.
Oppure sono loro stesse conduttrici, preferibilmente di bella presenza, preparate, impeccabili, attente e pazienti nell'ascolto come nella mediazione, in quell'arena di oratori scalmanati che sono ormai i dibattiti televisivi.
Certo, non mancano eccezioni: a Rainews 24, alla 7, c'e' una buona alternanza di giornalisti e giornaliste; ci sono donne che hanno assunto ruoli di vertice in settori importanti dell'economia, del sindacato, della comunicazione. Non sono conquiste da sottovalutare, ma rientrano nell'ordine della tradizionale "questione femminile": le donne viste come una "minoranza" che si batte per diritti di parita' o riconoscimento di una "differenza" da tutelare o valorizzare; la loro condizione letta in chiave di ritardo o svantaggio da colmare.

Il traguardo raggiunto o da raggiungere resta "neutro", l'unita' di misura a cui adeguarsi e' quella dettata dal dominio secolare maschile e mai riconosciuta come tale.

Nella lettera al candidato sindaco, pubblicata prima che si tenessero le primarie a Milano, abbiamo scritto: "Il problema di questo paese non sono le donne, ma gli uomini e l'organizzazione culturale, politica, sociale ed economica che hanno messo in piedi". Con un'immagine un po' rozza, di tipo idraulico, aggiungevamo: se in casa c'e' una forte perdita d'acqua, non serve "tamponare le falle" ma "cambiare le tubature".
In altre parole, non si tratta di "dedicarsi alle donne", ma "scardinare sistemi obsoleti, riscrivere lo statuto di donne e uomini nella relazione tra loro".

Cio' significa che, se e' importante una presenza delle donne nei luoghi decisionali della sfera pubblica che renda giustizia del fatto che sono la meta' del genere umano, affinche' cadano la falsa neutralita' dell'organizzazione maschile del mondo e l'altrettanto falsa naturalita' dei ruoli femminili di madre e seduttrice, e' necessario che ci siano donne consapevoli di essere tali, portatrici di un punto di vista che assuma la questione uomo-donna per il peso che ha avuto e ha tutt'ora nella storia delle civilta'.
A quarant'anni dalla nascita del neofemminismo, che ha messo in discussione in modo radicale il modello maschile di societa' - a partire dalla divisione tra privato e pubblico, identificata col diverso destino di un sesso e dell'altro -, non si puo' dire che manchino una cultura e pratiche politiche portatrici di questa consapevolezza e responsabilita' nuove.

Quelle che Silvia Ballestra ha chiamato sprezzantemente "piccoli cenacoli autoreferenziali", residui di una "vecchia guardia" femminista preoccupata di mantenere la propria "egemonia" ("Lo straniero", aprile 2011), sono le centinaia di associazioni, gruppi, centri di documentazioni, biblioteche, librerie, case editrici, collettivi, case delle donne, centri antiviolenza, riviste, ecc., che hanno resistito finora all'arrogante messa sotto silenzio e marginalizzazione da parte della cultura dominante, custodi di un patrimonio di sapere che potrebbe dare  risposte adeguate agli interrogativi del presente: personalizzazione della politica, populismo, razzismo, omofobia, trionfo della merce, esaurimento delle risorse naturali, crisi di un modello di sviluppo. L'indignazione per le donne-oggetto, per lo scambio sesso-carriere, per la prostituzione trattata come opportunita' di emancipazione femminile, ha portato un milione di donne e uomini nelle piazze.

Come mai allora tanto silenzio sulla cancellazione dell'intelligenza che ha saputo negli anni costruire un'immagine del maschile e del femminile fuori dagli stereotipi di genere, un'idea di individuo "intero", ne' solo corpo ne' solo mente, la prospettiva di una collettivita' responsabile della conservazione della vita, di quello che e' rimasto finora destino di un sesso solo?
Non c'e' bisogno di richiamare l'attenzione, come abbiamo fatto tante volte, sui grandi eventi culturali - la Fiera del libro di Torino, il convegno annuale dei filosofi di Modena, ecc. - dove i libri e le riviste del femminismo sono pressoche' assenti. Basta sfogliare in un  giorno qualsiasi uno dei nostri maggiori quotidiani. Giovedi' 5 maggio, le pagine culturali di "Repubblica" affrontavano due temi di grande interesse: "Nemico. Quando l'altro e' simbolo del male", "La felicita' e' democrazia".
A parte gli autori degli articoli, tutti rigorosamente uomini, anche nella bibliografia annessa - una quarantina di titoli - nessun nome di donna. Nel suo delirante ma lucidissimo sessismo, Otto Weininger ebbe almeno il coraggio di scrivere che "si puo' ben pretendere l'equiparazione giuridica dell'uomo e della donna senza percio' credere nella loro eguaglianza morale e intellettuale".

Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Tra le opere di Lea Melandri segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997; Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri, Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Amore e violenza, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]







Adesione de "le donne del 13 febbraio Siena" allo sciopero nazionale indetto dalla CGIL il 6 maggio 2011. Queste le nostre parole alla manifestazione di Siena:





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