domenica 27 novembre 2011

Report 23 novembre

La forza dell'autocritica
La Biblioteca della CGIL che ci ha ospitato in via straordinaria, era stracolma. Certo non é un grande spazio, ma si percepiva una presenza fatta non solo di numeri, ma di attenzione, interesse, curiosità, attesa verso tutto ciò che saremmo state in grado di dirci e quindi condividere, a proposito della appena conclusa giornata del 19 al Santa Maria della Scala.

Una esperienza nuova per il nostro Laboratorio, un esordio nelle modalità e nei contenuti che, pur coltivati da tempo e presenti nelle nostri riflessioni, in quell'occasione venivano rappresentati "fuori" da noi, iniziando a costruire quello spazio pubblico a cui spesso facciamo riferimento.

E quindi, primi interventi, prime considerazioni e udite, udite....una bella e complessa lettura autocritica. Ci vuole forza, sicurezza, convincimento nelle proprie scelte per dichiarare senza mezzi termini che "i gruppi hanno avuto poco tempo per lavorare" (ma questo ci sottolinea anche la vivacità della discussione nei gruppi stessi), che "i documenti scritti dai piccoli gruppi e che hanno preceduto la giornata, avevano un contenuto più alto del contributo delle maestre" (un ribaltamento di ruoli interessante dal punto di vista della conoscenza e della delega alla politica, nonché un'assunzione di responsabilità del nostro sapere) che "le aspettative sul numero delle presenze erano maggiori ed é quindi necessario porci l'interrogativo...ecc.ecc."

Ho volutamente riportato solo alcuni passaggi, la discussione é stata più complessa ovviamente ed il concetto di autocritica che ci ha guidate fin dall'inizio, ci ha permesso una valutazione onesta dei nostri limiti, ma anche delle nostre capacità, in un equilibrio che ha restituito senso e prospettiva. Così il prossimo mercoledì ripartiremo da qui per decidere come organizzarci per costruire un prodotto corrispondente.

La riunione é però iniziata a partire dal fatto che eravamo a due giorni dalla Giornata Mondiale per l'Eliminazione della violenza sulle donne. Per questo da giorni nel nostro indirizzario circolava una bozza di volantino. La bozza è stata discussa, trovate la stesura finale sul nostro blog, lo stesso volantino ieri pomeriggio é stato distribuito in centro da parte di Costanza, Daiane (sua figlia) e Samantha. Carla ed io abbiamo avuto l'opportunità di un incontro di un'ora ieri mattina presso una quinta del Liceo della Formazione. Un'esperienza nutriente per entrambe, ma ci auspichiamo anche per le ragazze e i ragazzi della classe che hanno comunque ascoltato ed interloquito con vivacità, attraverso la storia di Jonathan ed Amelia che avevamo costruito all'uopo. Ringraziamo Marta Fusai che ci ha ospitate e sostenute.

Dunque il consueto report sul nostro incontro del mercoledì finirebbe qui se non ci fosse stato un dopo che tenterò di restituirvi qui con il linguaggio della cronaca, lasciando poi spazio sul nostro blog (ledonnedel13siena.blogspot.com)ai commenti di ciascuna.

Ecco dunque i fatti: avevamo lanciato la proposta di rimanere a cena e così é stato, almeno per 20 di noi. Alle 20,30, interrotta con un pò di cruccio la discussione, ci siamo dirette al Ristorante Il Pomodorino, in Camporegio.

Prendiamo posto e alcune si rendono conto che sulle tovagliette, usate dai proprietari per apparecchiare, erano composti una serie di proverbi della tradizione toscana, alcuni dei quali particolarmente offensivi nei confronti dele donne. Dopo un attimo di sconcerto generale, Serenella e Serena si sono alzate ed hanno lasciato il risorante, invitando le altre a fare altrettanto, cosa che non é avvenuta. Come dicevo lascio alle parole di chi era presente, il dettaglio di ciò che é avvenuto successivamente, inviando a tutta la nostra mailing list lo scambio pervenuto al nostro indirizzo e-mail.

Ci vediamo mercoledì 30 novembre alle ore 17,30 alle Stanze della Memoria; in quell'occasione dovremo anche decidere se e come partecipare alla manifestazione lanciata dal Comitato promotore di Roma per l'11 Dicembre. Buona fine settimana 

giovedì 24 novembre 2011

  25 NOVEMBRE

 GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Le donne del 13 febbraio Siena 

dicono



alla violenza di genere in tutte le sue forme


 


NON PIU’ VITTIME  MA PROTAGONISTE DELLA NOSTRA VITA


Passi immaginati  come minacciosi, inquietudine nella strada vuota di notte in una periferia di città, quasi tutte abbiamo sperimentato quella paura, introiettata nei secoli, che ci spinge a correre verso il riparo della casa, di una casa dove peraltro si consuma prevalentemente la violenza contro le donne per mano di padri, mariti, amanti, figli, fratelli…In Italia ogni 3 giorni una donna muore per violenza maschile  e l’87% degli autori di tali violenze sono partner o ex-partner.
 
         Oggi si afferma che la violenza sulle donne è un’emergenza, lo è stata da millenni, vuol dire che è da sempre la normalità. Al contrario, denunciare la violenza significa riconoscere che è un fatto sociale, politico e non la devianza o il raptus momentaneo di un singolo uomo. Significa riconoscere quell’intrico perverso tra amore e odio, tra legami di dipendenza reciproca e tentativi di conquistarsi un’autonomia personale che caratterizzano i rapporti tra i sessi, ancora  improntati a una visione patriarcale della famiglia e della società. Significa  respingere la facile equazione tra violenza sulle donne e ‘barbaro’ straniero, portatore del conflitto di civiltà.

         Combattere la violenza oggi significa snidare la cultura che la produce, incarnata nelle istituzioni, nelle condizioni lavorative, nella morale vigente, nelle immagini della pubblicità e dello spettacolo, nelle norme non scritte della tradizione e nei saperi specialistici dai quali siamo escluse.
Dobbiamo anche sapere che la violenza maschile sulle donne impoverisce la nostra società, provoca danni nel presente e per il futuro, ha costi diretti per la donna ed i suoi figli e dei costi indiretti per l’intera collettività.

         In altri paesi europei  sono state prese e applicate misure per sradicare la violenza contro le donne a partire da un piano di sensibilizzazione per il cambiamento delle relazioni tra donne e uomini in ogni contesto delle società.  Perché in Italia no?

         Nella Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne chiediamo, in particolare alle donne impegnate in ruoli istituzionali, di impegnarsi ad ogni livello per proporre, seguire e curare le misure necessarie per contrastare tutti quei meccanismi culturali e sociali, fatti di pregiudizi e stereotipi che finiscono per legittimare la violenza soprattutto quand’essa  avviene entro le mura domestiche.

Le donne che subiscono violenza, possono rivolgersi ai Centri antiviolenza, che offrono accoglienza e sostegno per l’uscita dalla situazione critica, oltre ad alcuni servizi specialistici. I centri, presenti sul territorio senese come in molti territori italiani, hanno necessità di essere sostenuti attraverso azioni politiche continuative e sostanziali, che evitino sprechi di risorse e che valorizzino il servizio offerto dai centri stessi puntando in primo luogo alla loro continua riqualificazione.

Le donne del 13 febbraio - Siena - Comitato SeNonOraQuando?
Laboratorio Politico




Vi consigliamo questo articolo:

Manifestazione nazionale 11 dicembre 2011

Pubblichiamo la lettera del 21 novembre che la Rete dei Comitati Toscani  Se Non Ora Quando ha scritto, ed inviato, al Comitato Promotore SNOQ sulla proposta di una manifestazione nazionale in data 11 Dicembre 2011.
A seguire la lettera che il Comitato di Milano ha inviato a Roma il 9 novembre ed infine la risposta del Comitato Promotore.


LETTERA APERTA:

Care compagne Romane, vi scriviamo come coordinamento toscano dei comitati SNOQ.
A proposito della proposta di manifestazione per l'11 Dicembre e dell'appello che a tale scopo ci avete inviato, abbiamo discusso, riflettuto, scambiato pareri, e-mail e quanto di altro é possibile, in una modalità vivace di partecipazione che é anche sintomo della vitalità che ormai da mesi contraddistingue i nostri Comitati.

Ognuna nel proprio territorio sta faticosamente, ma pervicacemente, allacciando relazioni, rafforzando quelle che già esistevano, mobilitando le proprie forze, spesso scarse almeno in termini numerici, per mantenere e sviluppare un'azione politica così come l'abbiamo disegnata anche a partire dalla riunione fatta il 2 ottobre tutte insieme a Roma. In quell'occasione, nella sintesi conclusiva che Cristina Comencini fece, fu detto "Solo a partire dall'elaborazione di una proposta politica delle donne si può pensare di scendere nuovamente in piazza. Si darà vita ad una nuova mobilitazione entro fine anno se avremo raccolto una serie di proposte, perché lo spirito é quello di andare in piazza non "contro", ma "per".

Questo é l'impegno che dunque ci siamo assunte ed in quella direzione abbiamo continuato a lavorare.
Nello scambio che abbiamo avuto a proposito del 11 Dicembre, molte di noi hanno ricordato quell'impegno, non perché non si possa cambiare una prospettiva, ma per sostenere la validità di una impostazione che, per chi ha deciso di praticarla, sta significando impegno, tempo dedicato a...., produzione di idee, riflessioni, proposte concrete ovvero tutto ciò che rischiamo di non realizzare mai se non rinunciamo a vederci soggetti attivi e determinanti solo se siamo in piazza o nelle piazze.

In sintesi, i nostri Comitati si sono trovati d'accordo nel formularvi quanto segue:

- non sentiamo appropriati tempi e modalità indicate dalla lettera, per i motivi sopra specificati

- non tutte condividiamo tono e contenuti dell'appello

- suggeriamo di continuare a sostenerci vicendevolmente nella prospettiva di approfondire i temi lanciati anche il 2 (welfare, lavoro, rappresentanza, rappresentazione) e con la condizione irrinunciabile che i risultati vengano messi in circolazione quanto più possibile

- chiediamo che il Comitato promotore si faccia carico di una attenta e puntuale messa in rete di questi risultati, mantenendo l'impegno di costruire quindi un'agenda di contenuti e proposte più condivisa possibile e nella direzione di costruire "una proposta politica delle donne"

- sentiamo l'esigenza di rinviare la/le manifestazione/i ai mesi prossimi, quando forti di questo processo e soprattutto alla luce delle scelte del nuovo Governo, potremo portare all'esterno con maggiore determinazione e consapevolezza proteste e proposte.

Nel frattempo, almeno noi, Coordinamento toscano, continueremo a lavorare sul territorio, a tessere relazioni, a discutere e confrontarci. D'altra parte, dovremo essere pronte; adesso è il momento di preparare delle proposte per il futuro, perchè prima o poi ci troveremo a scegliere un governo politico, ed allora dovremo avere la forza necessaria affinché vengano riconosciute ed accolte le nostre proposte.

Un caro saluto a tutte e buon lavoro
Coordinamento toscano dei comitati SNOQ


Comitato SNOQ Milano

Care compagne del comitato nazionale,

 Ieri sera ci siamo incontrate a Milano e abbiamo discusso la vostra  proposta di una manifestazione nazionale da tenersi a Roma a dicembre.La discussione è stata molto lunga e partecipata e non è facile riassumerla in una comunicazione scritta, pertanto sinteticamente viillustriamo i concetti più significativi condivisi da tutte noi:
- riteniamo che la forza del movimento Se Non Ora Quando risieda soprattutto nella territorialità e nella capillarità di diffusionein tutto il paese, caratteristiche che hanno dato buoni risultati sia in termini di visibilità mediatica, sia di accessibilità alla partecipazione, sia di rappresentazione delle diverse e molteplici sfaccettature nelle quali il movimento delle donne si articola, come abbiamo potuto constatare a Siena. Pensiamo che in linea di massima
 le manifestazioni, sia di piazza che di altro tipo debbano per lo più tener conto di queste caratteristiche ed essere orientate al  territorio, pur con valenza e coordinamento nazionale, come fin qui avvenuto - la proposta di una manifestazione nazionale, da tenersi in tempi così  ravvicinati pone problemi di carattere organizzativo ed economico che non sono di facile soluzione e che potrebbero disincentivare  la partecipazione, anziché valorizzarla. Riteniamo che il tema di "una manifestazione nazionale" possa naturalmente essere  discusso, attraverso modalità diverse dall'invio di una comunicazione ma con una riunione nella quale la discussione possa  arricchirsi dei diversi punti di vista, in modo tale che obiettivi, contenuti e modalità risultino partecipati e condivisi. In  particolare riteniamo che i contenuti della manifestazione debbano essere esplicitati sui grandi temi quali: lavoro, stato sociale,  corpo, autodeterminazione, diritti, costruendo l"Agenda delle donne" di cui abbiamo ragionato nella riunione dello scorso ottobre.  Pensiamo che la collocazione temporale di una manifestazione nazionale, qualora la si ritenesse preferibile alle  manifestazioni contemporanee delle città, sia più opportuna in una fase di avvio della campagna elettorale per l'elezione del prossimo  Parlamento in modo tale che le nostre proposte segnino e influenzino l'avvio dell'iter politico nazionale, la definizione dei  programmi di Governo, la formazione delle liste, la democrazia paritaria come mezzo indispensabile per raggiungere gli obiettivi  indicati, negoziando collettivamente con percorsi trasparenti e conosciuti sia a livello nazionale, sia a livello territoriale - proprio per prepararci e per continuare il nostro percorso  milanese/lombardo stiamo lavorando per un' Assemblea pubblica che abbiamo già indetto per sabato 26 novembre dalle ore 14.30 alle 18.30 dove  presenteremo "snoqmilano", ci apriremo pubblicamente alla partecipazione anche delle singole, definiremo modalità di incontro e di  lavoro pubbliche e regolari, definiremo i temi da approfondire. All'assemblea abbiamo invitato anche tutti i comitati SNOQ  lombardi per una reciproca conoscenza e collaborazione. Abbiamo molto piacere di invitarvi a partecipare e intervenire ai nostri lavori e attendiamo di conoscere le vostre disponibilità 
 
Un abbraccio e a presto 
Per SNOQMILANO
Fulvia Colombini


Risposta del Comitato Promotore (pubblicata sul sito web)

      Pubblichiamo anche qui la risposta che abbiamo dato alla lettera di Milano, con cui speriamo di rispondere anche alle perplessità della rete toscana, dei comitati delle Marche, e a tutte voi che avete scritto in questo spazio:

Ci teniamo a sottolineare che la proposta di incontrarci nelle città d’Italia l’11 dicembre nasce dal desiderio di segnare con la nostra presenza una fase nuova e molto delicata che si è aperta nella vita del nostro paese.
Abbiamo scritto tempo fa a tutti i comitati nati in Italia dopo il 13 febbraio per chiedere cosa ne pensavano: la maggioranza si è dichiarata favorevole a una iniziativa che avesse una connotazione territoriale.
Non essendo SNOQ né un partito né un’associazione formalmente costituita non è nei nostri poteri né nei nostri desideri decidere noi per tutte. Quella in campo è una proposta che ciascun comitato è libero di fare propria o meno, e nelle modalità che preferisce (certo sempre rispettando lo spirito di Snoq).
L’11 dicembre torneremo a parlare dei quattro temi emersi dall’incontro del 2 ottobre – Lavoro, Welfare, Rappresentanza, Rappresentazione – in una dimensione pubblica e utilizzando, come è caratteristico del nostro movimento, una pluralità di linguaggi. Questo appuntamento rappresenta quindi un momento per approfondire e diffondere questi temi, una tappa nel percorso che abbiamo stabilito insieme. E che non cancella gli appuntamenti già fissati, come quello di Bologna sul lavoro, quello del 26 novembre a Milano su tutti questi temi o quello del 27 novembre nella Locride su rappresentanza e legalità.

sabato 19 novembre 2011

venerdì 4 novembre 2011

"il LAVORO delle donne"


 



Le donne del 13 febbraio Siena
Comitato SeNonOraQuando?  laboratorio politico





Sabato 19 novembre 2011
Santa Maria della Scala - Piazza Duomo Siena
Sala Italo Calvino 9:30-18:30


workshop su:

il lavoro delle donne
una giornata insieme per 
condividere, riflettere, proporre


Guarda lo SPOT...



Con il patrocinio del Comune di Siena

IL PROGRAMMA scarica il file >>
VOLANTINO scarica il file >>
Luogo dell'incontro: Santa Maria della Scala











Le relazioni introduttive dei tre gruppi di lavoro: 

Gruppo di lavoro su maternità/lavoro di cura, lavoro e stato sociale. 

Percorsi delle donne tra lavoro, maternità, cura. E lo Stato Sociale?

Possiamo immaginare le tre parole chiave Lavoro, Lavoro di cura/Maternità e Stato socialecome i vertici di un triangolo, lungo i lati del quale si muovono esperienze e desideri che danno vita ad un campo di interdipendenze complesso e denso. Ognuna di noi, per il semplice fatto di essere donna, deve muoversi all'interno di questo campo di tensioni, e i percorsi che disegnerà al suo interno sono fondamentali per la costruzione e lo sviluppo della sua soggettività di genere. In particolare, la possibilità di costruire un equilibrio armonioso tra i tre poli determina la qualità della vita di ogni donna dal punto di vista individuale, relazionale, familiare. Anche sul piano sociale la gestione dei tempi di vita assume un ruolo decisivo; rappresenta, infatti, una variabile imprescindibile perché sia realmente pensabile la partecipazione delle donne alla vita politica e sociale a qualsiasi livello.Quella che desideriamo qui proporre è una riflessione sulle nostre parole chiave e sui percorsi che si muovono dall'una all'altra: cosa spinge dalla maternità al lavoro fuori casa e viceversa, come si costruiscono equilibri e cambiamenti, cosa sperimentiamo e perché, come ci aiuta o ci intralcia la declinazione italiana dello stato sociale? Vorremmo disegnare, insomma, una cornice all'interno della quale le esperienze di ognuna di noi possano, nel lavoro collettivo di questa giornata, trovare espressione e affermare il proprio senso politico. Dal racconto e dalla condivisione dei nostri percorsi ci interessa che emergano i bisogni, le aspettative e la formulazione di azioni politiche di cui si facciano carico la collettività e il governo.La prospettiva da cui vi proponiamo di guardare a questo denso campo di interdipendenze è, naturalmente, quello della specificità di genere.La maternità e il lavoro di cura sono esperienze con le quali una donna, per il solo fatto di essere donna, deve necessariamente confrontarsi. Essere nate in un corpo sessuato femminile significa imparare a relazionarsi con la nostra capacità riproduttiva che si impossessa, in modo pregnante durante tutto l’arco della vita, sia della nostra dimensione corporea che di quella psicologica, a differenza di quella maschile. Indipendentemente dal desiderio di rimanere incinta ognuna di noi, a partire dallo sviluppo, è richiamata una volta al mese a sentire e pensare la propria maternità potenziale e per tutta la vita dovrà continuamente riposizionarsi rispetto a questa sua condizione di corpo femminile. L'archetipo della maternità permea l'identità di genere, disegnando le donne come soggetti naturali di cura, indipendentemente dal fatto di essere effettivamente madri. Il lavoro di cura si configura come una moltitudine di azioni e pensieri anche piccoli, che spesso ci appaiono di poco valore, ma che invece costituiscono la struttura ossea del quotidiano, ciò che garantisce il procedere della vita di tutti e della società. Questo bagaglio di azione e pensiero, questa responsabilità rispetto agli altri e alla collettività, è stata storicamente ritenuta “cosa da donne”, e, nonostante le battaglie e le conquiste femministe, in Italia tale convinzione persiste oggi più forte e tenace che altrove. Si tratta di lavoro, un lavoro invisibile e non riconosciuto che marca la nostra condizione di disparità rispetto agli uomini. Diversamente da ogni altra forma di lavoro, anche quelle più precarie, non ha un riconoscimento politico e quindi la contrattazione avviene esclusivamente nella sfera privata.Il lavoro di cura, inoltre, richiede una disponibilità costante, non ha tempi, è potenzialmente continuo, entra negli spazi della vita privata e lavorativa, e la gratificazione in questa sfera sfugge alla presa, non può essere legata alla singola azione e allo stesso tempo, non esiste un confine preciso del suo compimento. Indipendentemente dal percorso di vita che cerca di costruire, con o senza il progetto di una famiglia, ognuna di noi farà i conti con il ruolo di genere dominante nella nostra società, quello di soggetto di cura e/o madre. Rifiutare l'opzione della genitorialità per una donna ha un costo emotivo ed espone ad una richiesta di giustificazione che non si danno nel caso maschile. Il ruolo di madre e di soggetto di cura ha uno spazio di interpretazione claustrofobico ed è esposto ad un controllo e giudizio sociale feroce; diversamente, l'interpretazione del ruolo maschile nella sfera della cura è accettata in qualsiasi sua declinazione, anche la più assenteista, sempre giustificata dal primato dell'impegno professionale. Se dunque, ancora oggi, è senza dubbio forte la proposta, continuamente aggiornata, di un modello normativo di femminilità legato al ruolo di cura, è tuttavia importante dirci in che misura abbiamo interiorizzato questo ruolo, in che misura lo abbiamo eletto a sfera della nostra realizzazione, talvolta di esercizio di potere, e in che misura, al contrario, riusciamo a porci criticamente nei suoi confronti. Il peso del lavoro di cura, proprio perché richiede un forte investimento in termini di tempo, energia, pensiero, si pone inevitabilmente in competizione con la possibilità di agire nello spazio pubblico, sia in termini di partecipazione politica e civile, che in termini di scelta e perseguimento di un percorso professionale. Il lavoro di cura e il lavoro retribuito si sottraggono tempo a vicenda. In questo senso le donne sono costrette a vivere come funambole, rischiando un senso di incompiutezza ed inadeguatezza su entrambi i piani. Inoltre, il doppio carico sulle spalle delle donne è qualche cosa che agli occhi del datore di lavoro e dei colleghi rende quest'ultime lavoratrici potenzialmente meno affidabili degli uomini. È all'interno di questa visione dell'imprescindibilità del ruolo di cura delle donne, che trovano spazio e legittimazione iniziative come la lettera di dimissioni in bianco, l'assegnazione di part-time involontari, la collocazione in posizioni sotto-qualificate rispetto al titolo di studio o, più in generale, la precarietà e la difficoltà di accesso al mercato del lavoro. Lo Stato sociale, che nasce a partire dal riconoscimento che determinati diritti debbano essere tutelati e presi in carico dallo Stato come garante di tutti i cittadini e le cittadine, nell'ambito di cui ci stiamo occupando dovrebbe funzionare da correttivo per una gestione dei tempi di vita che rispetti la totalità e la differenza del soggetto femminile. In Italia, tuttavia, lo stato sociale, piuttosto che sostenere la famiglia e i tempi di vita dei genitori, è sostenuto esso stesso dal lavoro di cura delle donne. I servizi all'infanzia nei primi tre anni di vita, ad esempio, sono disegnati e pensati in riferimento ad un contesto familiare in cui si dà per scontata la presenza, a casa, di un soggetto disponibile a farsi carico del lavoro di cura, e noi sappiamo chi è questo soggetto. Semplificando la complessità dell'argomento, si può dire che la prima strategia presa in considerazione, per rispondere a questa esigenza, è stata quella cosiddetta della “conciliazione”: in quest'ottica l'obiettivo è quello di aiutare le donne appunto a conciliare il lavoro retribuito con quello di cura attraverso alcuni servizi come gli asili nido, l'accesso ai quali è tutt'altro che scontato; i dopo-scuola, che stanno sparendo; e il part-time, spesso rifiutato quando muove dalle esigenze della donna. È evidente che un importante limite di questa strategia è quello di rimanere all'interno di una visione acritica della cura come destino esclusivamente e naturalmente femminile. Proprio in reazione a questo limite si è cominciato a discutere di “condivisione”: a partire dall'assunto che la cura non sia un lavoro per natura femminile, ma che tutti nella società possano e debbano farsene carico, si sostiene che lo Stato sociale debba elaborare azioni in grado di promuovere la condivisione di questa responsabilità tra uomini e donne, in una prospettiva di welfare che tuteli e sostenga le cittadine e i cittadini a prescindere dalla loro condizione lavorativa, come invece succede nell’attuale sistema. Le proposte in questa direzione includono il congedo obbligatorio di paternità a carico dello Stato, un più equo accesso ai congedi parentali, il riconoscimento dell’indennità di maternità a tutte le lavoratrici a prescindere dal rapporto di lavoro, l'ideazione di part-time a ¾ per entrambi i genitori, il riscatto pensionistico della maternità -solo per citare alcune iniziative. La prospettiva della condivisione richiede d’altra parte anche un lungo e capillare lavoro di cambiamento culturale, senza il quale regole nuove come quelle sopra citate non sarebbero sufficienti per infrangere ruoli così efficacemente proposti e incorporati. A noi sembra che la nostra sfida, oggi, sia proprio quella di mettere a fuoco proposte concrete nell'ottica di una “condivisione” capace di promuovere nuovi modelli nelle relazioni di genere, di scompaginare i ruoli tradizionali e di restituire alla cura valore e riconoscimento sociale. 
Giulia, Carla F., Lucia B., Simonetta, Lucia C., Sonia, Mariassunta

Gruppo di lavoro sulla decrescita.


Le opportunità della decrescita: immaginario, bisogni, pratiche buone per una nuova economia delle donne”
Qualche spunto di riflessione per il gruppo di lavoro


Sono la crescita e lo sviluppo gli unici strumenti per far fronte alla crisi che da anni attanaglia ormai il nostro paese e non solo? Forse no. O meglio, noi pensiamo di no.

Crediamo che sia arrivato il momento di provare a cambiare lo sguardo, elaborare nuovi paradigmi, nuove modalità di vivere e di costruire le nostre vite. Di pensare fuori dagli schemi economici classici, individuando un percorso alternativo non più vincolato ad uno sviluppo economico tradizionale, in perenne rincorsa di una crescita infinita incompatibile con le risorse finite del nostro pianeta.

E' questo il tema della decrescita: non un modello economico in senso classico, quanto piuttosto un tentativo creativo di rompere la retorica della crescita economica senza limiti per “offrire degli strumenti e […] trasmettere stili di vita che non sono omologati ma creati dai territori e dalle comunità. Propone un punto di vista che ritiene fondamentale riappropriarsi dello spazio e del tempo di ciascuna e ciascuno che viene valorizzato e qualificato.”1

La decrescita, per chi la sceglie, è un percorso impegnativo ma necessario per ripensare le proprie vite, per porre un argine alle gravi crisi ambientali, sociali ed economiche che stiamo attraversando, per uscire dalla logica del mercato che promette libertà ma veicola dipendenza.

E' una grande risorsa soprattutto perché rappresenta un’azione di destrutturazione dell’immaginario per reinventare desideri, valori, immagini, modelli, obiettivi che portano alla costruzione di un mondo nuovo, una società più umana, felice e serena di quella attuale.

La decrescita ci permette di sperimentare e testimoniare nuove forme di relazione tra i generi orientate al riconoscimento della differenza e al rispetto delle diverse soggettività per costruire, donne e uomini insieme, un pensiero e una società post-patriarcale.

Rispetto al tema del lavoro al centro della giornata di oggi, la decrescita offre una chiave di lettura originale. Siamo partite da alcune domande:

  • è pensabile un paese dove tutti iniziano a lavorare meno, guadagnare meno, ma in cambio hanno più tempo per la vita, per le proprie passioni, per i propri affetti? Questo libererebbe nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani e le donne che al momento sono, specialmente in Italia, i più penalizzati da un mercato del lavoro ingessato e solo nominalmente flessibile?
  • è possibile mettere a sistema le risorse volontarie, altruistiche, dell’aiuto reciproco, del dono, sperimentali e alternative?
  • esistono esperienze concrete di forme di organizzazione del lavoro diverse da quelle dominate dalle ragioni della produttività, della competizione e del profitto?
  • è possibile immaginare una tutela del lavoro come bene comune “non fine a se stesso, ma […] funzionale alla qualità dell’esistere in un determinato contesto (ecosistema), da tutelarsi sia nei confronti del capitale privato (proprietà), sia del sistema politico (governo), che del capitale privato è sempre più frequentemente succube”?2 Quindi una rivalutazione del lavoro, non più inteso come una merce con un costo, ma come un bene comune dignitoso, tutelato e garantito a tutti.

Per costruire tutto questo è necessario rimettere al centro la relazione, la comunità, la responsabilità. Risorse che ci sono, ma sono ancora troppo spesso marginalizzate da un sistema che propone come vincenti modelli basati sull'individualismo, sul consumismo e sulla mercificazione.

I cambiamenti culturali richiedono tempo, energie, strategia e pianificazione. Serve confrontarsi, fare rete e scambiare le buone pratiche e le esperienze, anche quelle di minor successo, consapevoli che, come scrive Paolo Cacciari, “in attesa e in preparazione di questo grande processo di trasformazione, dobbiamo [...] essere non solo indulgenti ma capaci di capire che quella cultura consumistica - che giustamente critichiamo - in realtà copre bisogni profondi. E’ ad essi che noi dovremmo riuscire ad offrire una alternativa, se non vogliamo che la decrescita sia un modo di vita valido solo per esseri umani perfetti”.3



Novembre 2011

Ilaria, Barbara, Elena, Samantha, Antonella, Daniela, Patrizia, Silva



Bibliografia essenziale:

Il tempo della decrescita, S. Latouche e D. Hapagès (Eleuthera, 2011)

La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, M. Pallante (Edizioni per la decrescita felice, 2011)

Breve trattato sulla decrescita serena, S. Latouche (Bollati Boringhieri, 2008)

La scommessa della decrescita, S. Latouche (Feltrinelli, 2007)

Decrescita o barbarie, P. Cacciari (Carta, 2008 disponibile in pdf sul sito www.decrescita.it).

1 D. Degan Cambiamenti? Solo per amore. Tra crisi e decrescita. Conversazione con Daniela Degan on line su www.noidonne.org

2 U. Mattei Beni comuni, un manifesto, Laterza (2011)


Gruppo di lavoro su femminilizzazione e divisione etnica del lavoro.


Corpi di donne nel mercato globale: femminilizzazione e divisione etnica del lavoro.



Con questo titolo impegnativo abbiamo scelto letteralmente di aggredire il tema del lavoro focalizzando la nostra attenzione su concetti poco praticati (da qui l’aggressione) e per questo assenti spesso dalle riflessioni più consuete.

Eppure è evidente a tutte e a tutti che il corpo delle donne negli ultimi anni ha assunto un protagonismo sempre maggiore: uscito dalla casa è entrato a pieno diritto nella “polis” ed oggi assistiamo ad una femminilizzazione del lavoro, della politica, della vita sociale in generale, sia a partire dalla crescente presenza numerica delle donne in tutti i settori della società, sia come messa in atto di qualità e competenze femminili quali: capacità relazionale, capacità di ascolto e mediazione, affettività, politecnia, multifunzionalità, propensione alla cura. Queste doti sono ormai richieste oltre che dai servizi alla persona, dalle attività previdenziali, dalla scuola e dall’assistenza, anche dal sistema produttivo più in generale con particolare riferimento alle sue forme organizzative. Purtroppo però spesso la femminilizzazione in questa accezione ha dovuto fare i conti:

  • con la capacità del capitalismo e le esigenze del mercato di assorbire e riadattare a proprio esclusivo favore ogni tentativo di modifiche strutturali che incidano in negativo sui livelli di profitto
  • con la complicità di alcune, che prese dallo sforzo di farcela, hanno finito per essere schiacciate o sedotte dai modelli maschili.

A queste due prime letture del concetto di femminilizzazione del lavoro (maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro e trasferimento del femminile soprattutto nei modelli organizzativi), a nostro parere se ne deve aggiungere una terza ovvero la perdita di valore sia retributivo sia di prestigio che subisce il lavoro quando vede una accresciuta presenza femminile. Tale visione comporta anche la riduzione del lavoro nel suo complesso alle condizioni di precarietà e di carenza di diritti che ha da sempre segnato la condizione delle donne.

Presa per buona la prima definizione in quanto ovvia e ampiamente documentata, iniziamo a porci qualche domanda a partire dalla seconda.

Quali conseguenze può avere il riconoscimento e la valorizzazione del femminile nel mondo del lavoro?

Cosa potrebbero significare per le donne le trasformazioni che determina?

Molti possono essere i vantaggi.

Ad esempio, mettere al centro dell’organizzazione del lavoro le capacità relazionali e di cura delle donne permette senza dubbio di creare un nuovo paradigma organizzativo perché se la cura entra nelle organizzazioni del lavoro, questo consente di:

  • sperimentare pratiche di equità tra i generi (equità nella diversità)
  • sviluppare risorse umane consentendo a donne e uomini di mettere in gioco pienamente le loro rispettive competenze
  • inserire nei tempi aziendali i tempi sociali della vita
  • creare una cultura di attenzione ai bisogni di tutte e di tutti
  • trasmettere e condividere conoscenze ed esperienze
  • ed infine, per le donne in particolare, portare a valore competenze attraverso le quali realizzarsi mirando a sviluppi di carriera, ma senza stravolgere desideri


Se questo per noi è il senso del lavoro, possiamo ritenere questi i principi di un vero benessere organizzativo vantaggioso per uomini e donne e capace di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori e delle lavoratrici in ogni tipo di ruolo e funzione? La risposta ovviamente non è rivolta solo a noi, ma anche a tutti quegli attori che a vario titolo occupano lo spazio del mondo del lavoro (imprese,sindacato, istituzioni).



Ma veniamo all’altra definizione che abbiamo dato al termine femminilizzazione. Si può pensare che la maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro abbia fatto da apripista all’instabilità e alla precarietà occupazionali nonché all’implementazione del lavoro a basso costo?

E questo, cosa significa per le donne?



La crisi finanziaria attuale con la sua dinamica violenta, tutta rivolta alla ri-discussione di diritti che pur applicati in maniera diseguale, rappresentavano un punto di riferimento per la classe lavoratrice, sta estendendo all’intera categoria dei lavoratori le caratteristiche precarie e flessibili della condizione storica delle donne. E queste ultime all’interno di questo meccanismo, non solo sono la punta di diamante dello sfruttamento, ma sono doppiamente sfruttate perché più il modello della femminilizzazione in questa lettura, si approfondisce e più diventano dure le loro condizioni. (L’emancipazione malata – Corpi e lavoro ed. Libera Università delle donne)

Se, con un lavoro fisso, era difficile conciliare il tempo delle relazioni e degli affetti con il tempo per la produzione dei beni, cosa succede al corpo di una donna nel momento in cui si scardina completamente il tempo della sua vita e si introduce attraverso il lavoro, essenziale passaggio emancipatorio, il laceramento della precarietà? Come può oggi una giovane donna mantenere e realizzare il progetto di maternità nella dimensione che le si offre di lavoro-non lavoro?



Ma la crisi, momento di rottura di modelli già sperimentati e tragicamente falliti, può rappresentare forse un’opportunità per intraprendere nuove forme di organizzazione del mercato del lavoro che ripartano dai bisogni e dai desideri delle donne e degli uomini.

Presa coscienza del fatto che le risorse sono limitate, che i consumi non portano alla felicità, che il valore del lavoro non si misura esclusivamente attraverso la sua retribuzione, ma si nutre di relazioni e necessita di senso, quali potenzialità potrebbe esprimere il patrimonio di conoscenze e di saperi delle donne in un progetto di cambiamento?



Aggiungiamo che quando si parla di femminilizzazione del lavoro, é sotto gli occhi di tutte e di tutti che negli ultimi anni le nostre case sono andate via via “riempiendosi” di corpi, lingue, cibi, voci fino a poco fa estranee anzi in molti casi racchiuse nell’immaginario esotico che spesso accompagna, soprattutto per le persone più anziane, “quello o quella che viene da un altro posto”. Presenze in grandissima parte femminili perché migliaia di donne dai paesi impoveriti partono verso quelli arricchiti, primi anelli di quella che è stata chiamata la catena globale della cura: una serie di legami personali tra donne attraverso il mondo, basati sul lavoro di cura pagato e non pagato.

Il lavoro di cura è uno dei temi centrali, ma poco indagati, per costruire equità di genere e diritti: é evidente che una delle cause per cui il tema del welfare non viene affrontato con la giusta attenzione e determinazione sta nel fatto che questo lavoro è da sempre affidato al ruolo sociale femminile. Siamo anche fortemente consapevoli che la presenza di tante donne immigrate accentua i connotati di questo lavoro: il suo essere un lavoro servile, restando un affare di donne. La nostra emancipazione infatti passa attraverso la delega ad altre donne, bloccando:

  • il nostro processo di condivisone del lavoro di cura con gli uomini
  • un giusto sviluppo del welfare
  • il riconoscimento delle competenze culturali e professionali delle migranti, costrette al contrario dentro il doppio stereotipo di badanti o prostitute.

Su questi punti potrebbe nascere un’alleanza tra donne native e migranti, in grado di riequilibrare le asimmetrie di partenza e dare l’avvio alla costruzione di una cittadinanza piena e sostanziale per tutte.

Novembre 2011 Albalisa, Costanza, Gianna, Rossella, Serena